“Non è un narcisista, è piuttosto un uomo buffo invecchiato precocemente, senza più forza di camminare né fantasia di fare altro se non riposare a casa; così gli piace ricordarsi di sé, di quando aveva ancora dei progetti”?
Storia di una famiglia che vive la fine di un padre, e costretta repentinamente ad abituarsi all’idea imminente della perdita.
Era quella l’età in cui ci si sente adulti ma ancora si è piccini e i padri diventano ingombranti come mai sono stati prima, e ci si inventa di odiarli per il solo tempo che ci è necessario per differenziarci
Straziante. Già dalle prime pagine la piega che il libro prende è chiara, una malattia cha consuma e assottiglia la figura di un padre, colui che per una vita intera rappresenta la forza, il coraggio, la sicurezza, diventa impovvisamente impotente rispetto ai gesti più semplici, rendendolo vulnerabile, insicuro, impaurito.
Tutta la forza d’animo di chi non crede che possa essere vero che sta arrivando la fine, pian piano vene meno. Ma oltre al malato c’è il dolore incontenibile di chi lo ha sempre sostenuto e intende continuare a farlo, i suoi figli, impreparati di fronte al dolore dilaniante che arriva, e ad un segreto che alla fine della sua vita il padre decide che non è troppo tardi per confessare.
In tutta onestà credo che prima di iniziare questa lettura ci sia bisogno di sentirsi pronti ad affrontare l’argomento, io probabilmente non lo ero del tutto e non mi ha coinvolta totalmente; il ritmo è lento e l’argomento angosciante, anche perché ci trascina nell’ultimo stralcio doloroso di vita di un uomo, e di una morte sofferta e alla fine desiserata.
Duro, doloroso, perché la morte non riguarda solo l’ammalato ma porta via un pezzo di chi gli sta intorno.
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